Le mascherine ci salvano la vita: ma come le smaltiamo?

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Le mascherine ci salvano la vita: ma come le smaltiamo?

Negli ultimi mesi la nostra vita è stata completamente sconvolta dalla pandemia. Abbiamo modificato le nostre abitudini e (ri)adattato la nostra quotidianità. Volendo identificare in un solo oggetto il momento che il mondo sta vivendo, la mascherina sono senza alcun dubbio il simbolo di questa crisi sanitaria globale.

Grazie all’uso corretto delle mascherine, possiamo continuare a vivere le nostre vite nel modo più normale possibile, il loro utilizzo è fondamentale per evitare la diffusione del virus. Secondo una recente stima del Politecnico di Torino, il solo fabbisogno italiano di mascherine in un mese supera un miliardo di unità, vale a dire 400 tonnellate di rifiuti in più prodotti ogni giorno. Visti i numeri della diffusione del Covid-19 delle ultime settimane inoltre, questo numero non è destinato a scendere per almeno i prossimi 2 anni. La domanda sorge spontanea: come smaltiamo una tale quantità di rifiuti in più?

Scienziati, inventori e organizzazioni ambientaliste stanno sviluppando nuove soluzioni per ridurre l’impatto negativo delle mascherine sull’ambiente. Senza dimenticare che un errato smaltimento di un oggetto tanto delicato potrebbe anche far aumentare la diffusione del virus.

PRESIDI DI PROTEZIONE E SMALTIMENTO

Sono milioni ogni giorno i presidi anti-Covid usa e getta in circolazione. Le mascherine, in quanto materiale potenzialmente infetto, vanno smaltite nel cosiddetto sacco nero, nella indifferenziata, per essere poi conferiti negli inceneritori. La quantità è ingente ma il sistema impiantistico italiano, sia pur carente e mal dislocato sul territorio, è in grado di gestirlo.

Il punto centrale è dove finiscono: come raccomandato dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss) devono seguire i canali degli altri rifiuti indifferenziati. Dovrà essere privilegiato l’incenerimento e, quando non è possibile procedere in tal senso, il conferimento o in impianti di trattamento o in discarica, sempre evitando contatti diretti con questi rifiuti. Il problema è quindi di gestione ambientale: si tratta di potenziali risorse che dovrebbero per quanto possibile tornare in circolo, ma in questo momento  i tempi per arrivare a una soluzione industrialmente praticabile sembrano lontani.

Si deve però lavorare molto sull’educazione delle persone ed evitare che questi oggetti, dopo il loro uso vengano abbandonati nell’ambiente: non c’ è nessun rischio sanitario, rispetto alla propria mascherina. Basta gettarla nei propri rifiuti di casa o nei cestini stradali e rispettare quelle che sono le buone pratiche (non toccarsi bocca, naso e occhi se non dopo essersi lavati le mani). Uno dei rischi, è quello de ritorno al monouso legato alla necessità di garantire l’igiene di molti beni.

Il monouso d’altronde è un fattore di sicurezza igienico-sanitaria: non può essere eliminato del tutto e occorre concentrarsi sull’uso corretto e su modi corretti per disfarsene e di utilizzarlo quando necessario senza dover buttare alle ortiche tutto il lavoro che si è fatto negli ultimi anni per combattere lo spreco e la diffusione di materiale plastico e microplastiche.

LE POSSIBILI SOLUZIONI

Esistono dei modi per riutilizzare le mascherine che utilizziamo tutti i giorni? Sì! Ed in alcuni casi questi vengono già messi in atto. Il problema è che nella maggior parte dei casi bisognerebbe modificare il sistema già dal momento dello smaltimento naturalmente.

• La società di smaltimento dei rifiuti TerraCycle, nel Regno Unito, ha messo giù gli Zero Waste Boxes per raccogliere e riciclare, maschere per il viso e guanti monouso. Una volta finiti nei box, gli articoli vengono raccolti in categorie in base alle caratteristiche e alla composizione del materiale e, se necessario, miscelati con altre plastiche. Il materiale viene quindi fuso in pellet riciclato per essere utilizzato da terzi per la fabbricazione di nuovi prodotti tra cui mobili da esterno, terrazze e contenitori.

• La start-up francese Plaxtil offre una soluzione per le mascherine chirurgiche, in tessuto e FFP2 e sta attualmente conducendo un progetto pilota a Châtellerault, in Francia. Hanno istituito 50 punti di raccolta in farmacie, negozi o centri commerciali. Dopo aver rimosso la barra di metallo, le mascherine sono frantumate e poi fatte passare attraverso un tunnel UV per essere sterilizzate. I frammenti sono trasformati in materiale da iniettare in una pressa ad iniezione per ottenere oggetti di protezione contro il Covid-19: chiusure per maschere, apriporta e visiere protettive.

• Una soluzione potrebbe essere utilizzare le mascherine biodegradabili, con rivestimenti per il viso in cotone, lino, bambù, seta e canapa. Sono allo studio anche altri materiali più creativi, con proprietà aggiuntive. La Queensland University of Technology (QUT) australiana, ha sviluppato un prodotto ottenuto da materiale vegetale di scarto, come la bagassa di canna da zucchero e altri rifiuti agricoli. Il materiale altamente traspirante trattiene le particelle più piccole di 100 nanometri, le dimensioni dei virus.

• All’EssentialTech Center dell’Istituto Federale Svizzero di Tecnologia di Losanna (EPFL), Svizzera, i ricercatori hanno messo a punto un nuovo materiale. HelloMask è il suo nome commerciale, ed è costituita da una composizione polimerica, derivata al 99% da biomasse organiche. È trasparente e traspirante, oltre che biodegradabile e riciclabile. È progettato per rivelare le espressioni facciali e per filtrare virus e batteri. Sarà registrato come mascherina chirurgica e quindi fornirà la stessa protezione.

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